Ragionevoli dubbi

C’era da aspettarselo, d’altra parte sarebbe stato folle pensare di uscirne con le idee chiare. Eppure pensavamo di essere un po’ preparate. Pensavamo, appunto.

Domenica 30 Novembre, formazione circoscrizionale con il coordinamento Lgbti a Verona.
Una giornata molto intensa, piena di ragionamenti.

Torni a casa ed hai in testa solo il sillogismo aristotelico. Cerchi di scavare nella memoria e poi ti aiuti cercando una definizione:
Sillogismo è un termine filosofico con cui Aristotele designò la forma fondamentale di argomentazione logica, costituita da tre proposizioni dichiarative connesse in modo tale che dalle prime due, assunte come premesse, si possa dedurre una conclusione.

Amalia Macrì

Amalia Macrì durante la presentazione

Hai gli appunti nella mano destra e il sillogismo nella mano sinistra per cercare di interpretare tutte le storie che ti hanno raccontato Amalia Macrì, Marco Tirozzi (coordinamento Lgbti di Amnesty Italia) e Laurella Arietti, attivista del movimento transessuale italiano e fondatrice sportello SAT (Sportello Accoglienza Trans).

Continui a ripetere nella tua testa le stesse domande:

Quanto le classificazioni in due generi possano rispecchiare così poco la realtà ed essere così irrispettose della varietà del genere umano?

Perché la vigente legge italiana permette a una persona transessuale di avere un documento che rispecchi la sua identità a patto che si sottoponga ad un’operazione chirurgica?

E perché se decido che voglio un corpo in linea con la mia identità sessuale devo farmi fare una diagnosi di disforia di genere?

Perché l’omosessualità è ancora considerata una malattia?

Perché le società hanno dimenticato di avere a che fare con le persone?

E poi il perché che segue un’affermazione che ha la forza di un paradosso, quando Laurella dice: “la cultura transessuale deve essere cambiata”.

Ma perché ?

Laurella fornisce una spiegazione con la lucidità e la calma di chi conosce profondamente queste dinamiche, probabilmente per la sua storia, probabilmente per tutte quelle che le hanno raccontato.

Allo stato attuale la cultura transessuale rappresenta la cartina al tornasole di una tendenza di analisi che si serve di canoni imposti da un’altra cultura che però non riconosce il transessualismo, e quindi non lo legittima.

Allora torni indietro col pensiero, ti ricordi del sillogismo e cerchi di applicarne una forma rudimentale per cercare di comprendere le sfumature del discorso. Qualcosa hai perso, questo è certo.
Allora: il transessualismo non esiste, perché io non lo legittimo, però per “normalizzarlo” (certo non per comprenderlo) applico degli stereotipi di genere (quelli che solitamente applico al genere istituzionale a cui queste persone penso si avvicinino), che mi aiutano a decodificare un fenomeno che però per me sostanzialmente non esiste (Aristotele, ti prego dacci una mano!).

Che conseguenza ha questa dinamica? Che io riconosco me stesso e il mio mondo solo attraverso uno strumento imposto da una cultura che non mi riconosce.

Praticamente un controsenso.

Amalia però poi chiude il cerchio affermando che le varianti naturali del comportamento umano, non sono una malattia, quindi non sono curabili. Semplicemente perché non c’è nulla da curare.

Guardi tutti i punti interrogativi che hai segnato sui tuoi appunti, dai la buonanotte ad Aristotele e capisci quanto sia importante il dubbio. Il dubbio rappresenta la base della conoscenza, dal dubbio nasce il rifiuto di regole preordinate. È dal dubbio che deve partire il nostro lavoro di cambiamento del tessuto sociale.

Grazie Amalia, grazie Marco, grazie Laurella per avercelo regalato.

francesca postiglione

Francesca Postiglione

Per approfondimenti:

www.amnesty.it/rete_lgbti

Francesca Postiglione

Gruppo 150 Amnesty International

TDoR: l’espressione, il riconoscimento, la rassicurazione

Ieri, 20 Novembre, nella sala della Fondazione Caritro di Trento è stato celebrato il “Transgender Day of Remembrance” (TDoR), una ricorrenza della comunità LGBTQI per commemorare le vittime della transfobia.
In occasione del TDoR, la rete delle organizzazioni sensibili Trentino Alto Adige – Südtirol ha organizzato un incontro di presentazione del libro “Marina, noi, gli altri, gli animali” con ospite l’autrice Lucia Calzà.

Partendo dalla ricostruzione della vita di Marina (1914-1988), donna intersessuata vissuta per la maggior parte della vita in Trentino, Lucia Calzà affronta nel suo libro temi quali violenza di genere, emarginazione sociale e la lotta per il riconoscimento di genere.
Durante l’incontro, la scrittrice ha affermato che Marina librola stesura del libro si è rivelata uno strumento non solo per affrontare ed analizzare la propria esperienza, ma anche per confrontarsi personalmente con i temi trattati. “Marina” ha detto “non ha lottato, è sopravvissuta” in un epoca in cui la lotta per i diritti delle persone transessuali e intersessuali non esisteva, come non esisteva il confronto. Marina non ha mai cercato l’accettazione da parte degli altri vivendo ai margini della società perché “non voleva dare fastidio”, perché lei “non era stata fatta bene”.

La prima lotta di Lucia, invece, è stata proprio quella con se stessa, contro la fatica di accettarsi per come si è.

A continuazione, l’autrice ha sottolineato l’importanza della rassicurazione nella vita di qualsiasi persona, quella di essere riconosciuti. Perché vestirsi come una donna, che importanza ha l’aspetto? Le chiedono molti. L’apparenza non è un travestimento, ha spiegato, è l’espressione vera e sincera di come ci si riconosce, di come si vuole essere riconosciuti e l’espressione visiva della necessità di essere rassicurati e quindi legittimati dagli altri. Solo attraverso il riconoscimento del proprio genere, quello a cui ci si sente di far parte, è possibile raggiungere la serenità. Il tentativo di questo libro è quello di portare in orizzontale tutte le discriminazioni, tutte necessità di essere riconosciuti dagli altri.

Un incontro piacevole e illuminante, un positivo inizio di collaborazione con la Rete ELGBTQI* e un passo in avanti verso l’inclusione di quelle realtà minoritarie che non devono più occupare una posizione marginale nella nostra società.

Conclusioni in linea con la posizione di Amnesty International, che chiede di assicurare alle persone LGBTQI il diritto all’espressione della loro identità di genere o del loro orientamento sessuale, il diritto a una vita affettiva libera da interferenze e un equo accesso a tutti i diritti umani riconosciuti dalle convenzioni e dagli standard internazionali in materia.

Amnesty International chiede di assicurare che gli atti dello stato civile e tutti i principali documenti siano modificabili al fine di rappresentare adeguatamente l’identità di genere, e che la scelta dell’identità di genere sia garantita per ciascuno.

Amnesty Trento era presente con l’azione urgente “Macedonia: divieto di matrimoni fra persone dello stesso sesso in attesa di approvazione” (www.amnesty.it/macedonia-divieto-matrimonio-gay). AI chiede al Ministro della Giustizia macedone di bloccare l’emendamento costituzionale XXXIII che, limitando il matrimonio a coppie di sesso opposto, discrimina esplicitamente le persone LGBTQI, che vivono o vorrebbero vivere un’unione nel pieno godimento del diritto alla famiglia e ai diritti sociali e riproduttivi associati al matrimonio.

Francesca Postiglione e Sofia Lanzinger
Gruppo 150 Trento

Vicenza Pride

Per il Vicenza Pride abbiamo deciso di unire le forze partecipando come Circoscrizione Veneto e Trentino Alto Adige, oltre che come singoli gruppi.
Essere presenti è stata realmente una gioia.
Non si può descrivere la felicità che abbiamo provato nell’osservare le strade del centro riempite da un corteo così differente dall’immagine stereotipata dei Pride. Se non altro per l’incredibile presenza di bambini, ed stato commovente realizzare che non tutti quei bambini erano figli di famiglie omogenitoriali. Sabato 15 Giugno a Vicenza è stata la manifestazione della normalità a stupire, così lontana da tutto ciò che continua ad essere detto e scritto sui Pride.
Quando si viene a sapere che a Vicenza hanno organizzato una contromanifestazione e una messa riparatrice in contemporanea con il corteo, mi sono venute in mente le parole pronunciate da Christiane Tabiura, ministro della giustizia francese,“non vorrete farci credere che non avete alcuna conoscenza della diversità delle famiglie in questo paese?”
Come si fa a definire civile un paese che non riconosce a persone dello stesso sesso il diritto di sposarsi, di avere figli e di essere riconosciuti come una famiglia?
Amnesty International continua a ricordare che l’Italia non ha una legislazione adeguata che prevenga e contrasti la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. L’Italia non riconosce il matrimonio civile per persone dello stesso sesso e non garantisce pari diritti ai figli nati da famiglie omogenitoriali.
Oltre alla grande partecipazione e alla soddisfazione di aver preso parte ad un evento così importante, resta ferma nella mente l’incontro con due madri dell’associazione Famiglie Arcobaleno che ci presentano il loro bambino; orgogliose ci dicono:“Questo è l’ultimo nato del Triveneto!” e dalla carrozzina spuntano due occhi azzurri.
Ed è in quel momento che il tuo lavoro acquista ancora più senso, perché sai che la felicità di quella famiglia dipende anche da te. E fino a quando il governo e il parlamento italiano non si preoccuperanno di tutelare quella famiglia, lo farai tu.
E noi attivisti di Amnesty International eravamo lì  anche per questo.

Francesca Postiglione

DIRITTI UMANI NEGATI IN ITALIA: AMNESTY INTERNATIONAL INCONTRA L’UNIVERSITÀ

Mercoledì 29 maggio dalle ore 17 alle 19.30, al Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento (mappa), si terrà l’evento Diritti umani negati in Italia: Amnesty incontra l’Università. L’iniziativa vuole essere un’occasione di approfondimento e riflessione su alcune delle tematiche più attuali riguardanti i diritti umani nel nostro Paese, tematiche sulle quali società civile e politica sono chiamate a confrontarsi e a prendere posizione e si articolerà in due momenti.

17.00-18.00 WORKSHOP:

  • Violenza di genere e femminicidio: Relatrice: Alessia Donà, ricercatrice presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale di Trento
  • Orientamento sessuale: pregiudizi e discriminazione: Relatori: Fabio Fasoli, ricercatore presso il Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova, e Simone Sulpizio, ricercatore presso il Dipartimento di Psicologia e Scienza Cognitive di Trento
  • Carceri e situazione dei detenuti: Relatrice: Antonia Menghini, ricercatrice presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento

I workshop si focalizzeranno su tre delle tematiche presenti nell’Agenda in 10 punti per i diritti umani in Italia recentemente lanciata da Amnesty International. I workshop serviranno a fornire gli elementi basilari sulle tre tematiche, puntando a un coinvolgimento attivo dei partecipanti.

18.00-19.30 TAVOLA ROTONDA

La tavola rotonda verrà aperta da Paolo Pobbiati, attualmente vice presidente di Amnesty International Sezione Italiana, che parlerà di L’attività di Amnesty International in Italia: cosa puoi fare tu, e proseguirà sviluppando gli spunti emersi nel corso dei workshop.

Tutti i momenti dell’iniziativa sono basati sono un’attiva partecipazione del pubblico, da cui dipenderà il successo dell’evento. Vi aspettiamo numerosi!

Seguite l’evento su facebook

Qui sotto la locandina

locandina 29 maggio

 

Il teatro dell’Oppresso: Scusi lei non può rimanere qui

Venerdì 17 maggio, giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia, la sala della Filarmonica di Rovereto ha ospitato con successo lo spettacolo di Teatro dell’Oppresso Scusi lei non può rimanere qui della compagnia “L’altra faccia del Dado” di Verona. L’evento è stato organizzato da Fabio Fasoli e Simone Sulpizio, giovani ricercatori delle Università di Padova e di Trento, nell’ambito del progetto Omofobia, stereotipi sessuali e informazioni veicolate dalla voce. Eravamo lì come attivisti, a raccogliere firme per sollecitare le indagini sull’assassinio di Noxolo Nogwaza, giovane sudafricana uccisa a causa del suo orientamento sessuale, e per raccogliere messaggi di solidarietà per gli attivisti LGBTI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuati) sudafricani; ed eravamo lì come persone, a osservare la messa in scena di un paradosso fin troppo vero e fin troppo noto:

Laura trova Luisa, sua compagna da quindici anni, svenuta in bagno. Chiama l’ambulanza e corre in ospedale. Da quel momento non le è più concesso avere notizie della salute della sua compagna: non è una parente e, per la legge italiana, condividere la vita con Luisa non le dà alcun diritto. A decidere le cure per Luisa è sua sorella Maria Vittoria, feroce donna in carriera che non ha tempo e voglia di ascoltare le parole di quella che con ironia chiama “l’amica di mia sorella”. Laura non può più vedere la sua compagna ed esserle vicino quando purtroppo muore. Viene allontanata dalla bara durante il funerale e tenuta a distanza di sicurezza. E, come se non bastasse un mese dopo Maria Vittoria irrompe nella casa che Laura e Luisa condividevano rivendicandone la proprietà: la casa era di Luisa e, per la legge, Laura è solo un’ospite.

Il teatro dell’Oppresso è una forma di teatro interattivo sviluppata dal registra brasiliano Augusto Boal, che ha lo scopo di rendere gli spettatori consapevoli dei conflitti sociali e delle ingiustizie attraverso il loro coinvolgimento attivo sulla scena. Il punto è: cosa puoi fare per cambiare le cose? A turno si poteva salire sul palco e cercare di cambiare il corso della storia. La scena si ripeteva in continuazione, con nuovi personaggi, nuovi sviluppi, differenti tentativi di risoluzione del conflitto e di riparazione delle ingiustizie e discriminazioni subite da Laura.Ma, complice la bravura degli attori, a ogni tentativo di risoluzione, un nuovo muro si erigeva. E si ritornava al punto di partenza.

La storia di Laura e Luisa è solo un esempio di situazioni che conosciamo fin troppo bene. La legge italiana non prevede il matrimonio per coppie omosessuali, non riconosce i matrimoni e le unioni celebrati all’estero, e non garantisce pari diritti ai figli di coppie omogenitoriali.  Mentre in Europa si legalizzano i matrimoni per coppie omosessuali, in Italia l’omofobia non è ancora criminalizzata. Nella nostra legislazione l’omofobia e la transfobia non sono considerate possibili cause di discriminazione. Le vittime di reati di natura discriminatoria basati sull’orientamento sessuale e l’identità di genere non hanno la stessa tutela delle vittime di discriminazione razziale o religiosa.

Qual è dunque la soluzione per tentare di cambiare lo stato delle cose? L’ultimo spettatore salito sul palco suggeriva il meccanismo della pressione sociale: la perfida Maria Vittoria, quando visita Laura con l’intenzione di sfrattarla, si trova di fronte un amico della donna, che promette di denunciare all’opinione pubblica la sua omofobia. Questo è il lavoro che fa Amnesty International: denuncia delle discriminazioni e promozione dei diritti delle persone LGBTI. Amnesty, all’interno della campagna “Per un’Europa senza discriminazione”, appoggia e sostiene le iniziative delle associazioni LGBTI, con lo scopo di promuovere la libertà di espressione e di riunione delle persone LGBTI.  Amnesty continua a chiedere agli stati una maggiore tutela delle vittime di discriminazione per l’orientamento sessuale e l’identità di genere.

Penso ancora che sarei voluta salire anche io sul palco. L’hanno fatto in tanti, ognuno a suo modo. Della serata resta chiara in noi la bella consapevolezza che tutti nella sala condividevamo un’idea: la protezione dei diritti umani non prevede eccezioni.

Francesca

Discriminazione, sgomberi, segregazione, violenza: i rom in Europa di Riccardo Noury

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Discriminazione | “Riguarda l’Europa. Riguarda te”. Questo è lo slogan ufficiale del 2013, Anno europeo dei cittadini.

Circa la metà dei 10-12 milioni di rom che vivono in Europa si trova nei paesi dell’Ue.

Otto famiglie rom su 10 sono a rischio povertà. Solo un rom su sette ha terminato le scuole di secondo grado. A livello dei singoli stati membri, le comunità rom si collocano al di sotto di quasi tutti gli indici di sviluppo sui diritti umani.

No, l’Europa non riguarda i rom. Va detto un’altra volta ancora, all’ennesima vigilia della Giornata internazionale dei rom e dei sinti che si celebrerà lunedì 8 aprile.

Lo dice il fatto che a distanza di oltre un decennio dall’adozione della Direttiva sull’uguaglianza razziale del 2000 e di quattro anni dall’entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali, mai una volta la Commissione europea ha ritenuto di dover avviare qualche azione a sostegno dei diritti dei rom.

Che l’Europa non riguardi i rom, lo pensano anche alcuni cittadini degli stati membri.

In un sondaggio effettuato nel 2012, il 34 per cento degli europei riteneva che i cittadini dei loro paesi si sarebbero sentiti a disagio, e il 28 per cento “mediamente a loro agio” se i loro bambini avessero avuto dei rom come compagni di classe.

In Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, dal gennaio 2008 al luglio 2012, vi sono stati oltre 120 attacchi gravi contro i rom e le loro proprietà, tra cui sparatorie, accoltellamenti e lanci di bombe Molotov.

Gli sgomberi forzati continuano a costituire la regola, e non l’eccezione in molti paesi europei, tra cui Francia, Italia e Romania. L’istruzione è segregata in Grecia, Repubblica Ceca e Slovacchia, in contrasto con le leggi nazionali ed europee che proibiscono la discriminazione razziale.

Ecco la situazione, nel dettaglio, in alcuni paesi:

In Bulgaria si stima che i rom siano 750.000, il 9,94 per cento della popolazione. Più del 70 per cento dei rom dei centri urbani vive in quartieri segregati. In 14 attacchi contro persone rom e/o loro proprietà, portati a segno tra settembre 2011 e luglio 2012, sono morte almeno tre persone e altre 22, tra cui una donna incinta e due minori, sono rimaste ferite.

I circa 200.000 rom presenti nella Repubblica Ceca costituiscono l’1,9 per cento della popolazione. Più o meno un terzo (dalle 60.000 alle 80.000 persone) vive in 330 insediamenti per soli rom, all’interno dei quali la disoccupazione è superiore al 90 per cento. I bambini e le bambine rom costituiscono il 32 per cento del totale di coloro che sono assegnati a scuole per “alunni con lieve disabilità mentale” e che seguono programmi scolastici ridotti. Nel corso degli attacchi violenti verificatisi tra il gennaio 2008 e il luglio 2012 sono stati uccisi almeno cinque rom e almeno 22, tra cui tre minorenni, sono rimasti feriti.

In Francia vivono circa 500.000 traveller, molti dei quali cittadini francesi. Vi sono poi altri 15.000 – 20.000 rom provenienti da Bulgaria e Romania. I migranti rom dei campi e degli insediamenti informali sono oggetto di sgomberi forzati e di espulsione verso i paesi d’origine. Nel 2012 sono stati eseguiti 11.803 sgomberi, l’80 per cento dei quali aventi caratteristiche di sgombero forzato. Ieri, ce n’è stato un altro, che ha coinvolto oltre 200 persone. Solo il 10 per cento dei rom ha completato gli studi secondari.

Dei circa 750.000 rom residenti in Ungheria, il 7,49 per cento della popolazione, solo il 20 per cento ha un’istruzione superiore al primo grado, rispetto alla media nazionale del 67 per cento. Solo lo 0,3 per cento ha conseguito un diploma universitario. Tra gennaio 2008 e settembre 2012, vi sono stati 61 episodi di violenza contro i rom e le loro proprietà, che hanno causato la morte di nove persone, tra cui due minorenni, e decine di feriti, 10 dei quali in modo grave.

I circa 150.000 rom, sinti e caminanti presenti in Italia costituiscono lo 0,25 per cento della popolazione del paese. Le comunità rom comprendono persone provenienti da altri paesi dell’Ue (soprattutto la Romania) e dai paesi dell’ex Jugoslavia, un numero imprecisato di apolidi e circa un 50 per cento di cittadini italiani. Solo il 3 per cento è costituito da gruppi itineranti. Oltre un quarto dei rom presenti in Italia, circa 40.000 persone, vive in campi, informali o autorizzati ma comunque a rischio di sgombero forzato. Negli ultimi sei anni, a Roma e a Milano, ne sono stati eseguiti oltre 1000, quasi uno al giorno e nella stragrande maggioranza dei casi si è trattato di sgomberi forzati. Il 51 per cento della popolazione italiana ritiene che la società non trarrebbe beneficio dalla migliore integrazione dei rom.

In Romania si stima vivano 1.850.000 rom, l’8,63 per cento della popolazione. Circa l’80 per cento dei rom vive in povertà e quasi il 60 per cento risiede in comunità segregate e senza accesso ai servizi pubblici essenziali. Il 23 per cento delle famiglie rom (su una media nazionale del 2 per cento) subisce multiple privazioni relative all’alloggio, tra cui il mancato accesso a fonti d’acqua potabile e a servizi igienico-sanitari così come l’assenza di titoli comprovanti la proprietà dei loro alloggi.

I circa 490.000 rom presenti in Slovacchia costituiscono il 9,02 per cento della popolazione. Un terzo dei bambini e delle bambine rom, il 36 per cento, si trova in classi segregate per soli rom, il 12 per cento è assegnato a scuole speciali. Nello spazio di una generazione, il numero degli alunni rom assegnati alle scuole speciali è più o meno raddoppiato. Tra il gennaio 2008 e il luglio 2012 vi sono stati 16 attacchi contro i rom o le loro proprietà: cinque rom sono stati uccisi e altri 10 feriti.

In Slovenia i rom sono circa 8500 e costituiscono lo 0,41 per cento della popolazione. A differenza della percentuale nazionale che arriva quasi al 100 per cento, i rom che vivono nel 20-30 per cento degli insediamenti nel sud-est del paese sono privi di accesso all’acqua. Mentre i litri d’acqua per uso personale sono in media 150 al giorno (con punte del doppio nei centri urbani), alcune famiglie rom hanno accesso solo a 10 – 20 litri d’acqua a persona.

Sul sito di Amnesty International Italia, è online da stamattina un appello indirizzato alla Commissaria europea per la giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza, Viviane Reding, per chiederle di porre fine alla discriminazione nei confronti dei rom nell’Ue.

Nei prossimi giorni si svolgeranno numerose iniziative, organizzate sia da Amnesty International che dall’Associazione 21 luglio, in Italia e in Europa.

La foto che apre questo post è di Fulvia Vitale.

(Corriere della sera)

Brevissime note sul libro “Il buio dietro di me” di Damien Echols

“Il buio dietro di me” è un libro autobiografico che parla della vicenda di Damien Echols, uomo ingiustamente condannato a morte nel 1994 assieme a due amici, Jason Baldwin e Jessie Missekelley (a cui vennero inflitte però pene detentive e non quella capitale), per l’orrendo omicidio di tre bambini. Dopo un lungo percorso giudiziario (il caso diverrà noto come quello dei “West Memphis Three”) e grazie anche all’appoggio della moglie Lorri Davis, conosciuta e sposata quando già in carcere, e di personaggi noti del mondo della musica (Eddie Vedder e Marilyn Manson tra gli altri) e dello spettacolo (Johnny Depp, Peter Jackson e non solo), verrà con gli altri due liberato nel 2011 (a mezzo, fra l’altro, di un vergognoso stratagemma legale).

buiodietrodimeLa storia viene narrata in prima persona e racconta della vita del protagonista sin dalla sua infanzia, pur con frequenti sbalzi temporali che non stonano affatto, ma, anzi, aiutano a ricollegare le varie vicende e a ricostruire i perversi meccanismi che possono portare un innocente a finire dietro le sbarre con gravissime ed infamanti accuse. E così succede di passare da momenti riguardanti la vita carceraria, della quale vengono raccontati sopraffazione e squallore, ad altri relativi alla crescita di Damien in un ambiente privo di affetti e di significative relazioni sociali e, per contro, segnato da una progressiva emarginazione e dallo stigma dovuto ad un carattere sempre più ribelle e controcorrente. Tutti elementi che, ovviamente, diventeranno rilevanti quando si troverà ad essere incastrato in un meccanismo giudiziario quantomeno discutibile.

L’esposizione è caratterizzata da uno stile discontinuo, che certo può rendere più faticosa la lettura, ma in maniera efficace rappresenta i differenti stati d’animo che attraversano Damien a seconda delle vicende narrate, in particolar modo laddove rabbia e frustrazione comprensibilmente si fanno sentire. Sì che poco spazio alla fine viene lasciato al perdono e alla conciliazione.

Così come emerge tristemente e con tutta evidenza come il fattore economico (spesso, purtroppo, rilevante e, di conseguenza, gravissima quanto ingiusta fonte di discriminazioni nell’efficienza delle difese nei processi) risulterà anche in questo caso decisivo, visto che sarà solo grazie all’intervento delle star dello spettacolo, che contribuiranno a fornire le necessarie risorse agli avvocati, se si potranno affrontare esami, come quello del DNA, costosissimi (si parla di milioni di dollari), ma alla fine determinanti per scagionare i condannati.

Il libro contiene, in coda, un breve, ma utile ed esaustivo, riassunto della vicenda giudiziaria, dal quale emergono con evidenza tutte le assurdità e le storture, la carenza di elementi di prova che hanno purtroppo portato comunque alla condanna di tre innocenti a pene così gravi e ad una così lunga, quanto ingiusta, detenzione.

Se ne consiglia, quindi, la lettura in quanto utile strumento di riflessione sugli effetti distorti cui può portare un sistema giudiziario nel quale discriminazione e fattori economici risultano essere sovente decisivi, a maggior ragione qualora sia in ballo la pena di morte, che, anche da questo punto di vista, risulta essere strumento da condannare.

Francesco Bridi