Venerdì 17 maggio, giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia, la sala della Filarmonica di Rovereto ha ospitato con successo lo spettacolo di Teatro dell’Oppresso Scusi lei non può rimanere qui della compagnia “L’altra faccia del Dado” di Verona. L’evento è stato organizzato da Fabio Fasoli e Simone Sulpizio, giovani ricercatori delle Università di Padova e di Trento, nell’ambito del progetto Omofobia, stereotipi sessuali e informazioni veicolate dalla voce. Eravamo lì come attivisti, a raccogliere firme per sollecitare le indagini sull’assassinio di Noxolo Nogwaza, giovane sudafricana uccisa a causa del suo orientamento sessuale, e per raccogliere messaggi di solidarietà per gli attivisti LGBTI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuati) sudafricani; ed eravamo lì come persone, a osservare la messa in scena di un paradosso fin troppo vero e fin troppo noto:
Laura trova Luisa, sua compagna da quindici anni, svenuta in bagno. Chiama l’ambulanza e corre in ospedale. Da quel momento non le è più concesso avere notizie della salute della sua compagna: non è una parente e, per la legge italiana, condividere la vita con Luisa non le dà alcun diritto. A decidere le cure per Luisa è sua sorella Maria Vittoria, feroce donna in carriera che non ha tempo e voglia di ascoltare le parole di quella che con ironia chiama “l’amica di mia sorella”. Laura non può più vedere la sua compagna ed esserle vicino quando purtroppo muore. Viene allontanata dalla bara durante il funerale e tenuta a distanza di sicurezza. E, come se non bastasse un mese dopo Maria Vittoria irrompe nella casa che Laura e Luisa condividevano rivendicandone la proprietà: la casa era di Luisa e, per la legge, Laura è solo un’ospite.
Il teatro dell’Oppresso è una forma di teatro interattivo sviluppata dal registra brasiliano Augusto Boal, che ha lo scopo di rendere gli spettatori consapevoli dei conflitti sociali e delle ingiustizie attraverso il loro coinvolgimento attivo sulla scena. Il punto è: cosa puoi fare per cambiare le cose? A turno si poteva salire sul palco e cercare di cambiare il corso della storia. La scena si ripeteva in continuazione, con nuovi personaggi, nuovi sviluppi, differenti tentativi di risoluzione del conflitto e di riparazione delle ingiustizie e discriminazioni subite da Laura.Ma, complice la bravura degli attori, a ogni tentativo di risoluzione, un nuovo muro si erigeva. E si ritornava al punto di partenza.
La storia di Laura e Luisa è solo un esempio di situazioni che conosciamo fin troppo bene. La legge italiana non prevede il matrimonio per coppie omosessuali, non riconosce i matrimoni e le unioni celebrati all’estero, e non garantisce pari diritti ai figli di coppie omogenitoriali. Mentre in Europa si legalizzano i matrimoni per coppie omosessuali, in Italia l’omofobia non è ancora criminalizzata. Nella nostra legislazione l’omofobia e la transfobia non sono considerate possibili cause di discriminazione. Le vittime di reati di natura discriminatoria basati sull’orientamento sessuale e l’identità di genere non hanno la stessa tutela delle vittime di discriminazione razziale o religiosa.
Qual è dunque la soluzione per tentare di cambiare lo stato delle cose? L’ultimo spettatore salito sul palco suggeriva il meccanismo della pressione sociale: la perfida Maria Vittoria, quando visita Laura con l’intenzione di sfrattarla, si trova di fronte un amico della donna, che promette di denunciare all’opinione pubblica la sua omofobia. Questo è il lavoro che fa Amnesty International: denuncia delle discriminazioni e promozione dei diritti delle persone LGBTI. Amnesty, all’interno della campagna “Per un’Europa senza discriminazione”, appoggia e sostiene le iniziative delle associazioni LGBTI, con lo scopo di promuovere la libertà di espressione e di riunione delle persone LGBTI. Amnesty continua a chiedere agli stati una maggiore tutela delle vittime di discriminazione per l’orientamento sessuale e l’identità di genere.
Penso ancora che sarei voluta salire anche io sul palco. L’hanno fatto in tanti, ognuno a suo modo. Della serata resta chiara in noi la bella consapevolezza che tutti nella sala condividevamo un’idea: la protezione dei diritti umani non prevede eccezioni.
Francesca